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Adesso i diamanti sintetici CVD sono mischiati nel mêlée. Ci allarmiamo? Sì, però…

GIA scopre diamanti sintetici.

Adesso i diamanti sintetici CVD sono mischiati nel mêlée. Ci allarmiamo? Sì, però…

Adesso i diamanti sintetici CVD sono mischiati nel mêlée. Ci allarmiamo? Sì, però…

 

Articolo del Rapaport sulla scoperta di diamanti sintetici CVD in un lotto di mêlée.

 

Ciò che si temeva da tempo è avvenuto. La notizia, decisamente preoccupante, è stata già rilanciata dalla Rivista Italiana di Gemmologia e le fonti, Rapaport e GIA, sono assolutamente attendibili. La notizia forse sulle prime passerà in Italia un po’ inosservata. Non ci si meravigli. Da tempo ormai vibrano le ormai sempre più tese corde d’attenzione preoccupata degli operatori. In un certo senso, alle molte sirene che urlano ci si abitua. Tanto allarme, nessun allarme. Ma la portata delle conseguenze sul mercato si preannuncia superiore a quanto molti si possano aspettare.

Il post ci conferma il temuto aumento di attività fraudolente rivolte a mescolare quantità di diamanti sintetici con naturali nei lotti di materiali più piccoli. La notizia arriva dai laboratori del GIA. La partita analizzata conteneva 323 diamanti di cui 101 sono risultati diamanti sintetici CVD. La dimensione dei diamanti aveva una media di 0.015 carati (1 centesimo e mezzo). Wuyi Wang, direttore dell’istituto di ricerca e sviluppo del GIA di Mumbai ha dichiarato: “Questa è la prima volta che abbiamo rilevato una percentuale significativa di CVD mescolata ai diamanti naturali”.

Ricadute sul lavoro dei gemmologi impegnati sul campo? Ecco in breve che succede dopo questo fatto. Le insidie al lavoro di riconoscimento consistono in due aspetti principali. In primo luogo le dimensioni. I lotti di pietre molto piccole pongono sempre una serie di ulteriori difficoltà al laboratorio. Per le dimensioni ridottissime e la grande quantità da scrutinare, la dotazione strumentale, per quanto possa essere avanzata, non permette sempre di raggiungere diagnosi adeguatamente veloci. Ma il dato più complesso è costituito dalle caratteristiche chimiche e fisiche dei diamanti sintetici CVD.

Finché la minaccia era costituita dai sintetici HPHT, il criterio discriminante per raggiungere l’identificazione si incentrava sulla valutazione della fosforescenza. Questo tipo di analisi può essere effettuata per quantità anche elevate e richiede tempi sostenibili per il laboratorio. I sintetici CVD non reagiscono allo stesso modo. È lì che si concentra il lavoro più avanzato dell’analista che però aveva sinora almeno il vantaggio di operare su una quantità limitata e circoscritta alle pietre di dimensione maggiore. Il processo di sintesi CVD prevedeva la crescita su un cristallo seme di sintetico HPHT ed un successivo post trattamento per migliorare il colore del materiale sintetizzato, in origine brunastro o grigiastro. Specifichiamo il termine “prevedeva” perché, alla luce di queste complicazioni, la produzione di materiale piccolo o piccolissimo era considerata sinora non conveniente economicamente a causa della sua intrinseca complessità di sintesi. Qualcosa deve per forza essere cambiato nei sistemi di crescita per far sì che produrre a costi sostenibili i CVD divenisse finalmente possibile.

 

Si è potuto escludere il cristallo seme? Si è potuto evitare il post trattamento? Ad oggi non ci è ancora dato sapere, anche perché questi protocolli vengono gelosamente tenuti segreti dai produttori e sono i laboratori gemmologici che devono, ahinoi, fare il lavoro investigativo a ritroso per risolvere il problema. Possono certo venire in soccorso i metodi analitici spettrofotometrici sinora utilizzati per il materiale di maggiori dimensioni, è vero. Ma non dobbiamo però dimenticare il fatto che i lotti di mêlée sono di migliaia e migliaia di pietre e si dovrà procedere inizialmente per campionature. A ciò va aggiunto che i picchi rivelatori aiutano ovviamente chi può lavorare sugli spettri. E sugli spettri lavora chi si può permettere di acquisire dotazioni costose.

Il mercato deve trarre le conseguenze di questa realtà. Ma la comunità più avanzata dell’intellighenzia dei diamantari ha già da tempo prefigurato i nuovi scenari. Martin Rapaport, una parte in causa di notevole autorevolezza, già nel 2015 argomentava che non esiste chance nel fare una guerra di religione ai diamanti sintetici. Piuttosto occorre garantire la tracciabilità di quelli naturali con percorsi seri a garanzia del consumatori. Gli anticorpi dunque non possono che venire da un’accresciuta campagna di sensibilizzazione degli operatori col sostegno della migliore applicazione di tecniche di indagine scientifica.

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